Vento e la Green economy

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Il progetto “VENTO” elaborato dal politecnico di Milano, non è solo una semplice pista ciclabile unirebbe l’ovest con l’est dell’Italia.

Bisogna vedere questo progetto,questa pista ciclabile ,come possibilità di una nuova economia, la cosiddetta green economy.

Sfruttare le bellezze, la natura, il paesaggio che le zone attraversate da questa pista sono in grado di offrire.

Spesso ci si ferma ad analizzare e commentare il fine materiale ,senza osservare le possibilità collegate che potrebbero aprirsi  terminando

un opera simile.  Turismo solidale,  cicloturismo, sviluppo locale e territoriale, possibilità di nuove occupazioni lavorative.

Esempi simili siamo abituati a vederli in altre nazioni europee, dove migliaia di persone si recano ogni anno per passare vacanze diverse dalle solite. Germania, Danimarca, Olanda,sono abituate da anni a sfruttare quello che può offrire una “Pista ciclabile”.

Per approfondimenti:

 

VenTo: una ciclovia di 679 km lungo 4 regioni, passando per Expo 2015

Sicurezza Urbana

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Dalle buone idee alle buone politiche

Passare da una “buona idea” ad una “buona politica” può sembrare un’operazione semplice e “normale” per un Ente locale, ma quando ci si accinge a pensare e progettare un intervento che sia parte di una visione strategica e articolata sul tema della sicurezza urbana, spesso tale compito si rivela più complicato del previsto e non solo perché,  la sicurezza è un concetto complesso che, nonostante i recenti  tentativi normativi, sfugge ancora ad una definizione univoca e definita.  Se si pensa al processo per giungere all’elaborazione e alla definizione di una politica che provi ad affrontare uno o più aspetti che incidono sulla sicurezza in un territorio, si possono individuare alcuni nodi progettuali con cui gli Enti locali, indipendentemente dalla loro dimensione, si  devono confrontare allo scopo di realizzare politiche di inclusione sociale, sicurezza e legalità capaci di dare risposte ai bisogni delle collettività locali. Si tratta di nodi rilevanti del processo di costruzione di una politica che talvolta,  però, sono poco considerati o sottovalutati.  Quando viene a mancare questo confronto, il  rischio è quello di progettare e mettere in campo interventi che, seppur oggettivamente motivati o  validi, con buona probabilità si esauriranno con la conclusione delle attività, o rimarranno confinati al livello di intervento spot senza tradursi in una politica strutturale e di lungo periodo. Nel caso dei progetti sul tema della sicurezza urbana questa è una situazione che si verifica di frequente, non di rado anche nei  contesti locali più strutturati e con una buona esperienza progettuale: di fronte ad  un’emergenza o a un fenomeno produttivo di insicurezza che desta allarme, si interviene pensando più al mettere in atto una possibile soluzione/risposta in tempi  rapidi – ad esempio agendo attraverso un progetto specifico con un arco temporale ben definito -, che non al progettare un’adeguata politica che affronti quel problema in maniera organica, duratura e coordinata (soluzione questa che richiede più tempo e non assicura a priori la risoluzione del problema).  Ciò che qualifica un progetto come un intervento di sicurezza urbana più che il tema vero e proprio (o non solo) – che, come si è detto, può avere a che fare con una pluralità di ambiti e politiche urbane, alcuni anche molto diversi tra loro – è la politica entro cui esso è concepito e integrato. È decisivo sottolineare l’importanza del  legame tra l’intervento che si vuole realizzare e la cornice politica in cui esso si colloca:

perché una buona azione progettuale possa essere apprezzata e possa dare risultati durevoli, è necessario non soltanto che il problema da cui muove l’azione dell’amministrazione locale costituisca una priorità nella programmazione, ma anche   per costruire una politica bisogna confrontarsi  con alcuni nodi progettuali . Da una buona idea, un buon progetto per una buona politica che l’intervento sia incardinato e integrato nella visione politico-strategica dell’organizzazione.

Fare questo passaggio per l’amministrazione pubblica significa prendere in considerazione alcuni degli aspetti cardini di una strategia, come la capacità di identificare correttamente e puntualmente i problemi, definire azioni coerenti con le criticità che si intendono affrontare, fare rete con i soggetti interni ed esterni alla pubblica amministrazione che hanno competenza e capacità di intervento su questo tema, e adottare strumenti di misurazione e verifica degli esiti ottenuti.  Tener conto di questi aspetti non assicura meccanicamente il risultato – che ovviamente  dipende da molti altri fattori tra cui in primis la volontà politica degli amministratori locali investiti della responsabilità politica – ma può aiutare a porre le basi affinché questo esito sia raggiungibile.

 

 

UNA BUONA IDEA:

+ conoscere e definire i problemi

+ individuare obiettivi sostenibili

+ elaborare interventi complementari e funzionali agli + obiettivi

+ cooperare con altri settori o enti

+ valutare impatto e sostenibilità degli interventi

BUONA POLITICA

 

Testo tratto dal “Manuale per la progettazione di politiche e interventi sulla sicurezza integrata”, a cura della Regione Piemonte – Settore Polizia Locale e Politiche per la Sicurezza, anno 2013, www.regione.piemonte.it/sicurezza/manuale.htm.

 

Design sistemico

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design sistemico è la disciplina che permette di delineare e programmare il flusso (throughput) di materia che scorre da un sistema ad un altro in una metabolizzazione continua che diminuisce l’impronta ecologica e genera un notevole flusso economico.

Esistono diversi modi per cercare di avviare attività produttive e quindi generare lavoro, una di queste

è usare al meglio il Design sistemico analizzando e studiando flussi si materia per produrre altra materia da poter vendere e ricavare denaro.

Il Prof. Bistagnino del politecnico di Torino, ha studiato alcuni progetti che potrebbero essere presi in considerazione

e portare benefici ai cittadini, abbattendo l’inquinamento e producendIo denaro.

Di seguito una piccola sintesi che spiega a grandi linee di cosa si tratta.

 

“L’output di un sistema è l’inputdi un altro. Se così non è, significa che qualcosa non funziona”. Luigi Bistagnino, docente del dipartimento di Architettura & Design delPolitecnico di Torino, è uno dei principali studiosi di design sistemico, quel modo di progettare l’economia comeun sistema di sistemi, una rete di soggetti legati da relazioni e flussi di materia ed energia. In cui, come vuole la famosa legge di Lavoisier, tutto si trasforma, ma niente si distrugge.

Il modello della rete ci circonda da sempre: la natura è un grosso network, e anche il nostro cervello funziona come una rete; Internet non ha fatto altro che traslare, in ambito digitale, un modello già collaudato. Un modo di operare che, come provano le ricerche del gruppo guidato da Bistagnino, può portare risultati significativi anche a livello economico:uno studio condotto sull’Alta Val Sangone, in Piemonte, (presentato giovedì scorso all’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo durante la conferenza “Systemic Food Design: an holistic approach to reduce energy and raw materials consumption“) dimostra che, trasformando quell’area in ottica sistemica si otterrebbe un aumento del giro d’affari del 635%, passando dai 4,9 milioni di euro attuali a 36 milioni, con unaumento dell’occupazione del 35%. E i milioni potrebbero diventare 41 se si considerassero anche le 26 nuove attività che potrebbero nascere, dalla fitodepurazione alla produzione di detergenti, dall’artigianato della lana alla maltazione.

In concreto, le diverse attività economiche cooperano tra loro, con un beneficio per tutti: attraverso un ripensamento dell’uso della superficie agricola della valle (oggi in buona parte destinata al pascolo), per esempio, si potrebbero produrre localmente il 100% di frutta, verdura, carne bovina e latticini, attualmente per la maggior parte provenienti da fuori. Gli scarti agricoli e i reflui zootecnici potrebbero essere l’input per la produzione di energia rinnovabile. Dall’agricoltura potrebbero venire materie prime locali per molte attività economiche, dalla gelateria al panificio, che oggi usano rispettivamente il 20% e lo 0% di prodotti locali.

D) Professor Bistagnino, che cosa si intende di preciso per design sistemico?

R) Si tratta di un nuovo modo di affrontare il progetto, i processi produttivi e ottenere prodotti sostenibili.L’output di un sistema è l’input di un altro. Si progettano i flussi di materia e di energia che fluiscono da un sistema all’altro, tendendo a zero emissioni, concretizzando un nuovo modello economico-produttivo, generando una comunità fortemente relazionata e connessa consciamente al proprio territorio. Oggi il 60-80% delle risorse di input di un processo produttivo diventa prodotto – che a fine vita va spesso in discarica – mentre il restante 20-40% è costituito da scarti ed emissioni atmosferiche. Nel modello sistemico che proponiamo, non esistono scarti, ma solo materia non usata in un sistema, che diventa risorsa per un altro. Tutti i materiali hanno lo stesso valore, tutti i sistemi valgono uno e sono fortemente interconnessi: è un legame solido, che non si basa sulla finanza, ma sulle relazioni, e genera un’economia durevole.

D) Il vostro studio della Val Sangone ha preso in considerazione 24 attività economiche, risultando particolarmente innovativo per l’ottica che guarda non solo al sistema, ma al sistema dei sistemi. Come lo avete condotto?

R) Lo studio è il risultato di un lavoro di tre anni, che ha coinvolto altri docenti, ricercatori, oltre a 200 studenti, ed è stato oggetto di due tesi di laurea. Abbiamo scelto la Val Sangone perché è una valle molto ben collegata al resto, vicina alla Val di Susa carica di criticità, ma senza grosse vie che la attraversano. Alla ricerca hanno partecipato molti partner del territorio, mentre le valutazioni economiche sono certificate daDeloitte, soggetto esterno che ne assicura la validità. Abbiamo già fatto studi simili su aree di Messico, Francia e Paesi Baschi e siamo impegnati in una ricerca sul quadrante Nord Est di Torino, per applicare il modello anche a un contesto metropolitano. Stiamo lavorando con associazioni di categoria, enti locali, artigiani e agricoltori per far sì che le nostre indicazioni diventino realtà. Abbiamo già messo a punto un disciplinare per regolare le relazioni tra i diversi soggetti economici: è lungo appena quattro pagine e l’adesione è volontaria.

D) Quali sono i risultati che l’hanno stupita di più?

R) Sono rimasto molto sorpreso dalle ricadute economiche, pazzesche. Lo studio ha analizzato 24 attività, che se venisse applicato un approccio sistemico potrebbero generarne altre 26, mettendo in moto un giro d’affari enorme.

D) L’ambiente come ne beneficia direttamente?

R) La creazione di un sistema dei sistemi migliora i rapporti e il territorio: in un sistema fortemente interconnesso, tutti hanno cura dell’ambienteIn una società simile, non si investe più sul territorio, ma su un modo diverso di fare impresa. L’ambiente è il frutto di ciò che facciamo: se produciamo senza generare rifiuti ed emissioni, per esempio, non c’è poi bisogno di spendere per bonifiche o attività di depurazione.

D) Come si monitora un sistema simile? Immagino che il PIL non sia adeguato…

R) Il fine di un’economia progettata in modo sistemico non è la crescita, ma lavorare bene, ottenere benessere e posti di lavoro. Il PIL è assolutamente inadeguato: cosa può dirci un indicatore che cresce quando ci sono disastri e terremoti? Il nostro è un approccio culturale diverso, che ha cura delle cose che fa. La nostra cultura oggi è erede del riduzionismo cartesiano, tutto viene ricondotto ai soldi, mentre noi rivendichiamo di un approccio sistemico, dove non esistono marginalità e al primo posto ci sono le relazioni.

A me personalmente piacerebbe adottare un progetto simile e intercalarlo nella realtà Moncalierese generando lavoro e profitto per il comune.